pubblicato in occasione della mostra SOLO LE PERSONE BUONE NON PUZZANO, I SANTI, FORSE, PROFUMANO
KH, Roma
2021
Lorenzo Modica. Laboratorio KH 21 gennaio 2021
SOLO LE PERSONE BUONE NON PUZZANO, I SANTI, FORSE, PROFUMANO
“Perchè il ricordo non sfugga, la prima cosa da fare è predisporre un interno in cui catturarlo,
delimitato irregolarmente da segmenti rettilinei e superfici piane, da aperture che costituiscano una
continuità con l'esterno, e anche un inserimento di spazi esterni inquadrati in specchi e in finestre
nell'insieme considerato come un interno.”
Italo Calvino, Il ricordo è bendata (per Leonardo Cremonini), La Repubblica, 26 giugno 1984
Italo Calvino, Il ricordo è bendata (per Leonardo Cremonini), La Repubblica, 26 giugno 1984
Questo testo nasce dalle suggestioni suscitate in chi scrive da due conversazioni intrattenute con Lorenzo Modica durante le fasi preparatorie della presente mostra. Nel 1984 Italo Calvino, soffermandosi ad illustrare il lavoro di Leonardo Cremonini, scriveva su Repubblica: “perché il ricordo non sfugga, la prima cosa da fare è predisporre un interno in cui catturarlo”. Questo testo mi è tornato in mente durante le conversazioni con Modica. Nel suo modo di lavorare con il mezzo pittorico, che talvolta si estende nello spazio fino a riconfigurarsi in presenza scultorea, conquistando così la terza dimensione, si può facilmente osservare questa tendenza ad utilizzare lo spazio della tela come superficie in cui ‘catturare’ frammenti di esperienza.
Nei circa 30 mq di Laboratorio KH Lorenzo Modica istituisce tra tele, carte e sculture, relazioni e dialoghi che introducono alle riflessioni dell’artista sul rapporto tra corpo e linguaggio, sulle contraddizioni intrinseche ai sistemi di comunicazione della società, sul confine tra eros, vizio ed innocenza. Come nei racconti di Raymond Carver (a cui è dedicata una delle tele), i lavori di Modica compongono narrazioni asciutte ed incisive inserendo gli elementi del dipinto in piani spaziali apparentemente definiti ma che allo stesso tempo sfuggono a una collocazione reale, risultando appartenenti ad una dimensione tra il sospeso e il dematerializzato. Si tratta di griglie spaziali, assi cartesiani e reticolati all’interno dei quali prendono posto annotazioni di eventi casuali, object trouvé ed impressioni.
Accanto alla tematica esplicitamente erotica del piacere disinibito delle carte Shunga, sono esposte quattro tele che affrontano quattro tematiche differenti, indagando un immaginario privato e collettivo.
Macchina erotica,prende le mosse dallo studio del corpo umano effettuato attraverso il posizionamento sulla tela di un manichino proveniente da uno dei negozi cinesi nei pressi di via Paolo Sarpi. L’indagine investe le movenze e i codici comunicativi e motori di un corpo umano rotto, interrotto, di cui è raffigurata la mancanza attraverso l’utilizzo della pittura spray. La tela diventa un raccoglitore di detriti portati dal vento nello studio dell’artista: polvere, foglie, terra che, sedimentandosi sulla superficie, sporcano l’immagine stessa rendendo visibile un tempo trascorso.
Vitamine, titolo preso in prestito dal racconto di Carver ascoltato durante la realizzazione, gioca a ritrarre un’immagine di virilità esasperata all’interno di assi cartesiani sospesi a mezz’aria in un paesaggio marziano scomposto, percorso dalla linea tratteggiata della segnaletica stradale.
Merende si sviluppa a partire dal reticolato di una tovaglia sulla quale sono disposte le sagome di bottiglie di vino, un frammento di pagina e il ritratto di un elemento organico, una ciocca di capelli. Il frammento di carta, proveniente da un libro per bambini abbandonato e raccolto pezzo per pezzo da Modica, ammonisce ed invita a prestare attenzione al tipo di messaggi che si celano dietro ai prodotti visivi per i più piccoli. La ciocca di capelli viene inserita dall’artista prima di rendersi conto che quella stessa immagine appartiene al proprio inconscio, al ricordo di un piccolo ‘furto’ di cui è forse unico testimone. Un giovane ragazzo su un autobus con un amico, una ragazza sedutagli davanti. Il giovane ragazzo si protende senza che lei se ne renda conto, le prede una ciocca di capelli e la annusa. Un’appropriazione indebita di matrice erotica della sfera privata dell’altro, una violazione d’intimità di cui la ‘vittima’ non sarà mai a conoscenza e che suggerisce di domandarsi quale sia il limite tra lecito e illecito, quale tra invadenza fuori luogo e abuso.
Il Senza titolo infine è forse il più intimo tra i lavori. Durante la nostra seconda conversazione Modica lo ha definito ‘un lavoro sulla fragilità’. Inizialmente cominciato su verso opposto, il lavoro mette in evidenza il superamento di una criticità. Il gesto di girare la tela per l’insoddisfazione del risultato iniziale, regala la sorpresa di quello che inconsapevolmente il lavoro sul fronte aveva realizzato sul retro. Come nella pratica del monotipo in cui il gesto è legato forzatamente all’impossibilità di verificarne la risultante, il dipinto nasce sulle tracce prodotte dalla filtrazione del colore attraverso il tessuto. Così accade che il telaio si imprime sul cotone.
Come Kaspar Hauser nel momento del suo primo incontro con il mondo esterno, un visitatore attento, curioso e paziente, che abbia voglia di entrare nelle tele di Modica, abituerà progressivamente il suo sguardo alla sovrabbondanza di elementi percettivi generata dalla coesistenza nel piccolo spazio espositivo di queste complesse e invadenti presenze. Unicamente attraverso il linguaggio artistico queste riescono ad evitare una tendenza cacofonica e ad essere invece riassorbite nelle proprie diversità e conflittualità ricodificandosi in un sistema comunicativo aperto a tutti. Ne risulta un linguaggio inclusivo in cui il dialogo tra le diverse parti concorre a costruire un sistema di relazioni capace di mappare, decifrare e tradurre la pratica dell’artista.
Se è vero dunque che l’arte è un composto di materia e memoria, che ‘il mondo delle cose’ non è correlato unicamente alla propria funzione quanto piuttosto costituisce un indicatore complesso di relazioni affettive, psicologiche e culturali dell’uomo con la società1 , allora si può ipotizzare che il meccanismo che il visitatore attiverà a contatto con i lavori di Modica sarà vicino all’impression véritable di Proust: quella di chi, al risveglio, vede fuor dalla finestra una striscia chiara non sa ancora se sia mare o se sia cielo, eppure vive intensamente quell’esperienza, allo stesso modo in cui è piena e vitale l’esperienza di chi, provando una sensazione, non sa quanto essa dipenda dalla presenza della cosa che la provoca o da memorie, da associazioni mentali che si aggregano e sommano alla percezione diretta2.
1 Mary Douglas, Baron Isherwood, Il mondo delle cose. Oggetti, valore, consumo, Il Mulino, 1984
2 Giulio Carlo Argan, L’Arte moderna, 1770-1970, Sansoni, 2002