pubblicato in occasione della mostra Nascosto in bella vista
Galleria Studio G7, Bologna
2021
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Lorenzo Modica, le cui opere vengono presentate per la prima volta da G7 a stabilire un dialogo in questa mostra con quelle di Guerzoni, lavora talvolta utilizzando fotografie, facendole precipitare nei dipinti in forma di fotocopie e ritagli, solo dopo che attorno a loro è andato articolandosi una partitura di macchie, pennellate e campiture che sembrano costituire un paesaggio per quelle immagini frammentarie. Sarebbe stato semplice, dunque, fissare il baricentro del loro dialogo attorno a un particolare uso della fotografia nella poetica di entrambi gli artisti, ma questo avrebbe significato mostrare una parte del lavoro di Guerzoni degli anni Settanta, quello di serie come Archeologie, Dentro l’immagine, Affreschi, già molto illuminato. Meglio forse, così abbiamo pensato quando abbiamo iniziato a lavorare alla mostra, sfruttare le possibilità offerte da questo incontro inedito per guardare il lavoro di Guerzoni negli interstizi e nelle opere di passaggio.
Inoltre entrambi gli artisti, Modica e Guerzoni, sono, principalmente, pittori: lo è Modica, il cui lavoro specificatamente pittorico tocca note molto diverse (da una “quasi astrazione” fino a quadri configurabili come paesaggi), ma sempre all’insegna di una immagine non progettata, di una processualità non programmata che ingloba approcci, materiali e tecniche differenti – pittura a spray, collage, carta disegnata quando non proprio scarabocchiata, oppure trattata a monotipo - per arrivare talvolta a una figura, a una cosa riconducibile al reale come indicazione di una possibilità e gesto conclusivo del processo pittorico; lo è Guerzoni, il cui approdo alla pittura avviene nei primi anni Ottanta, quando l’artista mette a punto il suo particolare modo di “agire” la superficie, per via di stratificazioni successive che donano al dipinto un forte spessore materiale, all’interno del quale, idealmente, le immagini finiscono per nascondersi o rivelarsi come ritrovamenti, attraverso un lavoro di scavo (nel supporto) operato dall’artista, un processo di sottrazione e nuove aggiunte di colore e materia.
Nascosto in bella vista non è neppure, però, una mostra di dipinti (mi accorgo di aver speso molte parole, fin qui, a provare a descrivere ciò che la mostra non è, ma farlo significa anche ripercorrere a posteriori il processo di costruzione della mostra, i dialoghi e i pensieri che lo hanno accompagnato, rendendone partecipe lo spettatore), se si esclude un lavoro di Modica dal titolo La chacha, un dipinto che si svolge a partire da un tessuto molto connotato (come spesso accade nella pratica dell’artista, che non si mette quasi mai di fronte alla tela bianca), una tovaglia con stampato un motivo di stelline, che Modica ha macchiato con pennellate libere e movimentate, che paiono accendere quel cielo o disperdersi in esso, e generarsi o riannodarsi da/attorno alla figura femminile al centro del ritaglio di fotocopia collocato sulla superficie.
La mostra, inoltre, contiene un lavoro di Guerzoni risalente a un periodo di passaggio tra fotografia e pittura, un periodo travagliato nel quale l’artista avverte l’esaurirsi della sua ricerca attorno alla fotografia, a cavallo tra anni Settanta e Ottanta e appartenente alla serie Spie: una fotografia, un piccolo volto che sembra un frammento di un affresco antico, fa capolino nello spazio stretto generato dalla crepa di una lastra di gesso, una lastra che identifica la superficie come una specie di muro; quel volto è dunque la spia di un’immagine nascosta, un’immagine che sta sotto, visibile attraverso la crepa di un muro e custodita nelle sue pieghe materiali.
Spia è anche un lavoro che traduce in modo compiuto alcune delle suggestioni che il titolo della mostra, Nascosto in bella vista, sottende: nonostante la sottile crepa da cui emerge, quel volto/spia non può nascondersi, e la sua presenza entra potentemente nello spazio espositivo (chiamando lo spettatore ad avvicinarsi all’opera) a partire da un paesaggio di spessa materialità.
Ho invece incontrato Lorenzo Modica pochi mesi fa, perché Giulia Biafiore me l’ha fatto conoscere, era in corso una sua mostra a Roma e siamo andati a vederla. Quel primo incontro mise subito in evidenza che tra il suo modo di fare pittura e il mio di guardarla c’erano diversi punti di contatto (e infatti la conversazione fu incredibilmente sciolta): le parole figurazione e astrazione come categorie porose, con confini che si fanno evanescenti quando le devi usare per descrivere un dipinto; la predilezione per una figurazione balbuziente, provvisoria, frammentaria, che può stabilizzarsi come dato momentaneamente in equilibrio in una partitura di cose eterogenee; l’idea che l’emersione della figura sia un fatto inevitabile, o una possibilità che ha a che fare con un affioramento e inabissamento da/in un paesaggio di tangibile materialità e solo dopo una gamma di gesti compositi che intervengono sul supporto.
È proprio su questo piano, quello di un rapporto problematico con la figura, la cui presenza nei dipinti emerge ma confondendosi o compromettendosi con l’evidenza materiale dell’opera, che si svolge il dialogo tra Modica e Guerzoni. Nascosto in bella vista, ad esempio, allude a questa particolare qualità di una figura che si nasconde nelle pieghe materiali dell’opera, che si fa tutt’uno con esse, pur restando ineludibilmente presente: è un titolo di Lorenzo, un titolo di un suo lavoro di qualche anno fa, prestato alla mostra, che Franco ha accolto con entusiasmo.
Nascosto in bella vista è dunque una mostra di immagini che si inabissano e riemergono, di immagini intermittenti e fragili, sincopate e instabili: come quelle contenute in Rêve néolithique di Franco Guerzoni, dove una serie di carte di diverso formato, disegnate a grafite, carbone e cera, incise e graffiate, agite su entrambi i lati, perfino accartocciate e bloccate sul muro da due elementi in gesso, riproducono forme liquide e movimentate, irregolari e un po’ sfocate che sembrano derivare da un desiderio della mano di inseguire, abbandonandosi a essi, motivi geometrici ancestrali, primigeni, simili a quelli ceramici e rupestri appartenenti a ere molto remote.
Sulla parete opposta, invece, Untitled (vetrina) è un lavoro che Modica ha pensato appositamente per lo spazio della galleria: una partitura che si svolge su tre lastre di plexiglass appoggiate sul muro, una composizione/costellazione di immagini su carta, uno spettro che va dal monocromo della carta copiativa e della carta carbone, alla stampa digitale, dalla fotografia alla pittura a spray e al semplice scarabocchio, in un continuo movimento di affermazione e negazione della figura all’interno del quale il lieve riflesso dello spettatore sulla superficie specchiante è un’immagine tra le immagini.
Davide Ferri