Donatella Saroli
Pubblicato in catalogo: B e C: Del linguaggio privato
2018

Un lessico dopo una visita nello studio di Lorenzo Modica

Le parole sono meravigliose costruzioni. Spesso, si fanno carico del peso di incontri tragici. Di tanto in tanto traboccano dell'intensità dell'inchiesta e dell'indagine, tanto che intimidisce prenderle alla leggera. Eppure, gli immaginari distopici ci mettono in guardia dal non prenderci cura delle parole: i poteri totalitari, infatti, potrebbero far sparire vocaboli di primaria importanza dai nostri dizionari e, una mattina, potremmo svegliarci ignari della poesia. Dovremmo concederci, quindi, il permesso di esplorare le parole come possiamo e con ciò che abbiamo.

Le parole in questo testo sono emerse da una visita in studio. Mi sono rivolta a loro portandomi dietro frammenti di una conversazione con Lorenzo Modica, istantanee e tracce sonore. Il suono delle tele appoggiate al muro, di fogli di carta da velina che sfioravano i pavimenti mentre venivano sistemati l'uno accanto l'altro.

Strati o "tele appoggiate al muro e fogli di carta velina posati sul pavimento".

Inizierò con una delle mie parole preferite. "Layers", strati. Trasmette un senso di temporalità, connessione e complessità. Dalla sua etimologia, il termine inglese "layer" eredita un legame con il lavoro. Uno "strato", nel tardo XIV secolo, era "colui che o ciò che stende", in particolare che "stende" a terra le pietre. Probabilmente la parola usata per descrivere l'attività di un muratore. Così, gli strati emergono dalla nostra fatica, il nostro costante atto di aggiungere/impilare/organizzare/spargere. Di qualsiasi materiale siano fatti gli strati-mattoni, pensieri, parole, esperienze immagazzinate nel nostro subconscio, pennellate, tele e quant'altro — essi suggeriscono la probabilità di connessioni, relazioni e "besideness", lo stato di essere accanto. "Besideness è un'interessante preposizione",1 sostiene Eve Kosofsky Sedgwick, "anche perché no c'è nulla di molto dualistico a riguardo; un numero di elementi può stare uno accanto all'altro, benché non un'infinità. Accanto consente un ampio agnosticismo rispetto alle molte logiche lineari che rafforzano il pensiero dualistico: il principio di non- contraddizione o il principio del terzo escluso, causa contro effetto, soggetto contro oggetto. È interessante, tuttavia, non per una visione di relazioni metonimicamente egualitarie o addirittura pacifiche, come sa ogni bambino che abbia condiviso un letto con un fratello. Accanto comprende una vasta gamma di relazioni di desiderio, identificazione, rappresentazione, respingimento, messa in parallelo, differenziazione, rivalità, appoggio, torsione, imitazione, attrazione, aggressione, deformazione ed altro."2

Monotipi o "agire senza esitazione".

Prendi una lastra lucida — fatta di rame, vetro, metallo o vetro acrilico — e ci disegni su, usando inchiostro, pittura ad olio o acquerelli. Prima che il colore si asciughi, posa un foglio di carta e passalo in una pressa, in modo che l'immagine venga trasferita sulla carta. Considerato il più pittorico dei processi di stampa, i monotipi sono stati il dominio dell'esplorazione sin dalla metà del XVI secolo, riferiscono gli storici. Il colore viene applicato con pennelli, matite, rulli, stracci, spugne, dita, strumenti per incisione o qualsiasi cosa ci sia in studio. A causa della natura non assorbente della lastra, il colore può agevolmente essere rimosso, graffiato o sbavato. Modica, invece, utilizza il suo corpo o un oggetto a punta in luogo della pressa. I monotipi sono quindi contrassegnati da una sorta di rilassatezza, di rinuncia al controllo; consentono un senso di rottura delle convenzioni un'accoglienza della vulnerabilità. Per i pittori rivolgersi ai monotipi segna l'esperienza del cambio di posizione e percezione: come per tutti i processi di stampa, occorre pensare a rovescio, immaginare le cose al contrario. Cambiare posizione è spesso richiesto nella vita quando una nuova consapevolezza è essenziale per una comprensione più profonda. Il risultato di un monotipo è un "atto unico", una singola enunciazione, una "impressione", com viene chiamata tecnicamente. L'impressione è "tirata", vale a dire, viene staccata dalla lastra, provocando un movimento fisico. In questo processo la lastra viene distrutta — l'immagine si è trasferita sulla carta e il lavoro continua all'infinito. Un'altra lastra può essere preparata e la danza va avanti, in un processo rapito, come quando si ripetere un mantra. Eppure, questo processo ha più in comune con la produzione di differenza come la intende Deleuze, che con la mimesi. "Per Deleuze, la ripetizione non è qualcosa che si ripete più e più volte", spiega Adrian Parr, "vale a dire, la ripetizione è collegata al potere della differenza nel senso di un processo produttivo che produce variazione in e attraverso ogni ripetizione. In questo modo, la ripetizione è meglio compresa in termini di scoperta e sperimentazione; consente l'emergere di nuove esperienze, affetti ed espressioni. Ripetere è ricominciare; affermare il potere del nuovo e dell'imprevedibile. Nella misura in cui la vita stessa è descritta come una forza dinamica e attiva di ripetizione che produce differenza, quella forza di cui Deleuze ci incoraggia a pensare in termini di 'divenire', le forze incorporano la differenza mentre ripetono, dando luogo a mutazioni."3

Bordi o "ciò che viene introdotto dall’esterno".

Un margine, un limite, un confine: ognuno di questi termini sembra pertinente, eppure il bordo si impone più fortemente mentre scrivo questo testo. Molto probabilmente a causa della tensione che il termine "edge" porta con sé: la nitidezza della lama, echeggiata da "ecg", il termine in inglese antico da cui prende origine; il senso di ipervigilanza dell'espressione "stare sul bordo di qualcosa", e la relazione con ciò ch il bordo delimita — la superficie esterna, ciò che è fuori. È infatti dai bordi che cose, forme e oggetti tridimensionali scivolano dentro e fuori, spostandosi dall'esterno sulla superficie o viceversa. A volte entrano ed escono "di taglio" trovando una microscopica breccia nello spazio e nel tempo, proprio come succede quando si riesce ad entrare in una conversazione, inserendo una parola tra le altre parole, proprio quando pensavi che non sarebbe mai successo. Dopo questa interazione, questo reciproco effetto tra ciò che è dentro e ciò che è fuori, nulla sarà come prima. Nel mondo della fisica l'interazione è intesa come "un modo particolare in cui materia, campi e particelle atomiche e subatomiche si influenzano a vicenda" e Karen Barad, sviluppando questo concetto, sostituisce il termine interazione con "intra-azione". "Gli umani, non si limitano a assemblare apparati diversi per soddisfare particolari progetti di conoscenza, ma sono essi stessi parti locali specifiche della riconfigurazione perpetua del mondo" afferma Barad. "Nella misura in cui le manipolazioni che avvengono in laboratorio, gli interventi osservazionali, i concetti o altre pratiche umane svolgono un ruolo, questo ruolo è parte della configurazione materiale del mondo nel suo di-venire intra-attivo. Gli 'esseri umani' fanno parte dello spazio del corpo-mondo e corporale, nella sua strutturazione dinamica. C'è un senso importante in cui le pratiche del sapere non possono essere pienamente rivendicate come pratiche umane, non solo perché usiamo elementi non umani nelle nostre pratiche, ma perché il sapere è una questione che riguarda una parte del mondo che si rende intelligibile ad un'altra parte di mondo. Le pratiche del sapere e dell'essere non sono isolabili, ma piuttosto, sono reciprocamente implicate. Non otteniamo sapere stando fuori dal mondo; sappiamo perché "noi" siamo del mondo. Siamo parte del mondo nel suo divenire differenziale."4

Mappe o "la natura illusoria dell’apparato rappresentazionale".

"Le mappe, come risultato dei nostri tentativi di organizzare il sapere, sono inevitabilmente geo-localizzate e incarnate, piuttosto che neutrali, come ci ha insegnato la contesa fra la proiezione Gerardus Mercator e la proiezione Peters. La prima era la mappa disegnata dal cartografo fiammingo della metà del XVI secolo — per rispondere alle esigenze dei marinai, dei mercanti e degli eserciti che perseguivano l'espansione coloniale — e distorceva il globo in favore dell'emisfero settentrionale; la mappa che molti di noi conoscono dalle aule scolastiche. La proiezione di Peters, che risale alla metà degli anni '70, mostra le aree del mondo dimensionate in modo più preciso le une rispetto alle altre, sebbene ci siano ancora distorsioni. Le mappe sono anche la sintesi del soggetto della nostra indagine, sono centrate sulla "scala", su un rapporto di proporzione proprio per evitare il paradosso che Borges cattura nel suo racconto "Sull'esattezza della scienza", dove la mappa dell'Impero è grande quanto l'Impero stesso. Quindi nel processo di mappare facciamo scelte precise, creiamo "proiezioni" che coinvolgono tutto il nostro essere nel tentativo di riprodurre, decifrare e tradurre. Un tentativo che, come Giuliana Bruno sintetizza nella sua nozione di "mappe teneri", è segnato da affetti ed è il risultato di una "mappatura spaziale delle emozioni" e di una "resa cartografica dell'esperienza intima".
Per Deleuze e Guattari "la mappa è aperta e collegabile in tutte le sue dimensioni; è rimovibile, reversibile, suscettibile di modifiche costanti. Può essere strappata, rovesciata, adattata a qualsiasi tipo di montaggio, rielaborata da un individuo, gruppo o formazione sociale. Può essere disegnata su un muro, concepita come un'opera d'arte, costruita come azione politica o come meditazione. [...] Una mappa ha molteplici ingressi, al contrario di un tracciato, che riporta sempre allo stessa cosa". La mappa ha a che fare con la performance, mentre il tracciato implica sempre una presunta 'competenza'."5



1  Eve Kosofsky Sedgwick, Touching Feeling. Affect, Pedagogy, Performativity, Duke University Press, 2003, p. 8.
2  Ibidem.
3 Adrian Parr, "Repetition", The Deleuze Dictionary, a cura di Adrian Parr, Edinburgh University Press, 2005, p. 225.
4 Karen Barad, "Posthumanist Performativity: Toward an Understanding of How Matter Comes to Matter", Material Feminisms, a cura di Stacy Alaimo, Susan Hekman, Indiana University Press, 2008, pp. 146-147.
5 Gilles Deleuze e Félix Guattari, A Thousand Plateaus: Capitalism and Schizophrenia, University of Minnesota Press, 1987, p. 12.