Pubblicato in catalogo: B e C: Del linguaggio privato
Mantova
2018
"Un’Oscurità espansa"
Il lavoro di Lorenzo Modica è difficile. Resiste alle categorizzazioni facili, alle occhiate casuali e alle asserzioni stereotipate sulla pittura, sul linguaggio, sul significato, sull'alterità. Pur essendo un pittore, il suo lavoro B e C è composto di stampe, sculture, installazioni, un libro d'artista. Queste coinvolgono il nostro udito e influenzano i nostri movimenti fisici. Un lavoro acustico distrugge regolarmente la bolla silenziosa della nostra contemplazione con il suo rumore secco e primordiale. Ci spinge a interrogarci sulla divisione tra il rumore e il suono significativo che può diventare: musica, oralità ... La sua soglia metallica affetta il nostro movimento attraverso lo spazio espositivo: vederlo è fermarsi, chinarsi e prendere coscienza di entrare in uno spazio diverso, tagliando il volume interno abitualmente indifferenziato di una sede espositiva. Le opere che più immediatamente assomigliano alla pittura, Complementary Distribution 1 e 2, sono inchiostro, e non pittura, ostinatamente monocromatiche, e su vetro, piuttosto che su tela o su qualsiasi supporto affidabile come il legno, la carta, la plastica ... Per chi ha familiarità con la tecnica del monotipo, possono apparire come lastre inchiostrate, costringendoci a vedere, con gli occhi della mente, l'impressione speculare che avrebbero generato su una superficie ricettiva.
Pur essendo un pittore, l'argomento di Modica sembra, in gran parte, il linguaggio. A differenza degli artisti visivi più letterali che, nel corso degli ultimi sessanta anni, hanno minimizzato l'oggetto artistico a favore di informazioni o idee — Joseph Kossuth, On Kawara, Lawrence Weiner — Modica respinge gli ambigui atteggiamenti dell'arte concettuale nei confronti della materialità, in favore di un edonismo aptico.
Mentre esplora il linguaggio, il suo materiale linguistico è impossibile da riconoscere e difficile da identificare, anche quando siamo consapevoli della loro origine e delle procedure di sistematizzazione applicate dall'artista. Sappiamo da Modica che ha lavorato al fianco di gemelli adulti che comunicano, tra loro e con il mondo, attraverso una serie di gesti e suoni variamente legati all'italiano parlato. Come il Leopold Bloom di James Joyce, il fenomeno del loro linguaggio — ciò che ci viene dato da vedere, ascoltare, leggere — è privo di indicazioni. Emerge da loro esperienze personali molto specifiche, da associazioni forgiate in un momento fondamentale, da collegamenti fatti in modi non convenzionali con il mondo che li circonda e, indubbiamente, nella loro relazione. La loro lingua è una conversazione che emerge dal flusso di coscienza dagli giochi di parole, dagli aneddoti, dai pressanti bisogni, dalle speculazioni e dagli affetti. Forse "emozione", nel suo senso etimologico, sarebbe la parole più adatta a qualificare almeno l'effetto della loro conversazione: il loro è un disturbo pubblico, un'eccitazione che ci allontana dal nostro stato normale. La loro ricca interiorità è esternata attraverso una sorta di contro-espressione, per quelli di noi che stanno lottando per entrare in contatto con la scatola nera della loro interiorità. Semplicemente non abbiamo gli strumenti per collegare le loro parole-gesti a qualche intento interiore. E questo esercizio è reso ancor più inquietante dalla stessa natura unheimlich della dualità propria dei gemelli: la distinzione tra dentro e fuori potrebbe anche non essere operativa.
Ad un livello primordiale, tale distinzione non può mai essere operativa: la nostra partecipazione alla vita è una disordinata mescolanza che il linguaggio, prima di tutto, ci dà modo di controllare, ordinare. Il linguaggio dà forma e significato di fronte a quest'immenso panorama della nostra esperienza, parafrasando T.S. Eliot su Joyce. Ma la promessa di ordine del linguaggio — l'ordine delle cose, di definire il nostro posto nel mondo, di situarci in relazioni, gerarchie, opposizioni, connotazioni e denotazioni — viene disattesa. L'imperiosa impersonalità del linguaggio, che per definizione deve basarsi su convenzioni che non abbiamo scelto e, più radicalmente ancora, che ci modellano almeno tanto quanto la biologia, ci colpisce violentemente. Sì, potremmo rendere il linguaggio nostro in ogni parola pronunciata ("parole"), ma cosa "really belongs to [us]" è anche precisamente "what [we] do not understand."1
B e C fa il punto su questo. Le espressioni e i gesti dei gemelli sono le materie prime per la ricerca artistica di Modica. Con rispetto per le persone B. e C., e senza la disperata esasperazione o il relativismo fatalistico che spesso ancora qualifica le indagini letterarie e artistiche sui limiti del linguaggio e del sé, Modica ha accolto l'alterità e ha proceduto in una varietà di modi per farne qualcosa.
La mostra si apre con Derived (2016), un gruppo di quarantaquattro lavori su carta che mostrano quali possibilità siano state aperte dalle numerose derivazioni esplorative. Modica ha usato il suo corpo come massa per creare questi monotipi. Utilizzando inchiostro calcografico nero, questi lavori sperimentali, in alcuni casi, sono stati completati con olio di lino e tinture naturali. A volte screziati, macchiati, sfregati, punteggiati, sono un microcosmo delle forme e dei problemi che attraversano il progetto: cheremi, grafemi, fonemi e ideo-pittogrammi, figura e campo, la nostra dipendenza assiomatica dalla visione, i sistemi spaziali, le difficoltà nel postulare la soggettività, l'impotenza di segni, simboli e sensi per assicurare un solido terreno ontologico per esplorare sé stessi, connettersi con gli altri, conoscere il mondo... Questi elementi sono tutti presenti, a volte in forma embrionale, in Derived. La quantità e la varietà delle derivazioni che Modica ha intrapreso dall'inizio si vede nel confronto tra Derived e A Subject Placed by the Verb (Chereme), la prima fase del progetto.
Nell'estate del 2015 ha riempito i suoi quaderni di ipotetiche "traduzioni", poi di trascrizioni fonetiche e in fine di schizzi. Forse l'iniziale formazione di Modica in filosofia, e poi in matematica, è ciò che lo ha spinto ad analizzare il sistema di B. e C. O forse è l'impulso radicato di Modica di osservare, classificare e costruire sistemi ermeneutici che lo hanno portato, inizialmente, a queste due discipline accademiche e poi alla sua osservazione partecipativa dei e con i gemelli. Come unità di base della comunicazione gestuale, un chereme (derivato dal greco antico χείρ, mano) è funzionalmente equivalente a un fonema del linguaggio orale. Invece di attenersi alla sostituzione impoverente di chereme con fonema, come fa la recente letteratura accademica sui linguaggi dei segni, Modica è rimasto saldo alla specificità del linguaggio dei gesti: corporale e visivo. I quarantacinque cheremi, inchiostri su carta, costituiscono un dizionario di segni. Questi segni non sono né strettamente empirici (delle fotografie sarebbero state più adatte), né strettamente interpretative (hanno lo scopo di designare chiaramente le unità di base di questo linguaggio di segni). Con ventidue suoni aggiuntivi essi costituiscono il linguaggio naturale e convenzionale che viene usato, però, da sole due persone.
Dai bozzetti e dalle trascrizioni dei suoi quaderni, Modica ha creato delle sagome. Queste forme semplificate, rielaborate in studio, ci invitano a impegnarci in un nuova lingua attraverso la classificazione. Confrontiamo i gesti tra di loro mentre li leggiamo come parti di un sistema: unità, simili per dimensioni e funzione, e sistemate (non sappiamo in base a quale logica) richiamano, forse, tabelle didattiche o serie minimaliste. I gesti sono ridotti alla posizione della testa e delle braccia. Solo tre fogli forniscono informazioni su un'altra parte del corpo (i piedi); al loro minimo, i segni sono ridotti a un solo braccio, o solo a una testa. Il segno che si svolge orizzontalmente è incomprensibile: è talmente frammentario e parziale che senza la spiegazione dell'artista non si capirebbe che rappresenta una figura sdraiata (l'ucciso). La difficoltà di affidarsi a queste opere d'inchiostro per "imparare" il linguaggio di B. e C. ci porta alla realizzazione che questa serie riguarda l'ordinamento, non l'ordine. E che la disciplina dell'artista si applica a percorrere il confine tra pittogramma e scrittura: come all'emergenza dell'ideogramma.
A Subject Placed by the Verb suggerisce che né le parole né le immagini possono offrire solide basi epistemologiche. Ciò che viene nominato è soggetto all'azione di collocamento in un sistema. Il titolo dell'opera è tratto da "There Is" di Robert Creeley che, come gran parte della poesia di Creeley, esplora attraverso frammenti cristallini e un insuperabile senso del ritmo del linguaggio ordinario, ciò che Charles Altieri ha chiamato la minaccia ricorrente di cadere da un mondo di azione in cui il sé e il mondo sono uniti, a una descrizione in cui soggetto e oggetto sono disgiunti e la persona diventa consapevole della propria alienazione da ciò che lo circonda. Questo vuoto deriva essenzialmente dal suo senso di isolamento, dall'essere isolato da tutte le radici o motivi — nell'esperienza concreta, nella tradizione e nei suoi rapporti con le altre persone.2
La prosodia isoverbale e variabile di Creeley va ben oltre il tema del nulla, che Altieri sostiene è il nucleo del lavoro del poeta. La poesia, There Is, di Creeley recita:3
There is
as we go we
see there
is a hairy
hole there is
a darkness ex-
panded by
there is a
sense of some
imminence imman-
ence there is
a subject placed
by the verb a
conjunction coord-
inate lines
a graph of indeterminate
feelings there is
sorry for itself
lonely generally
unhappy in its
circumstances.
Suggerirei che Modica riconosca nel poema di Creeley non il "nulla" ma un sens di isolamento. La solitudine che, al livello più banale, sperimentiamo di fronte a una lingua straniera, o alle "chiacchiere inutili."4 Una lingua straniera è una quantità disarmante di fonemi disposti in un ordine che non capiamo e che non possiamo neppure ascoltare o scomporre in unità. Le chiacchiere sono quell'aspetto del nostro sé pubblico che imita l'impegno con gli altri; nel migliore dei casi, un riscaldamento per una potenziale connessione. L'isolamento è, a livello letterale, quello dell'inusuale connessione di B. e C. al mondo. Ma l'isolamento dei gemelli è, Modica ci invita a realizzare, di tutti. Se la lingua è la nostra principale modalità di conoscenza del mondo, non siamo su un terreno fermo. Le immagini, anche quelle altamente leggibili, non forniscono un terreno più solido. Più li guardiamo, e più questi ideo-pittogrammi sembrano instabili. Più freneticamente cerchiamo di definire le verità assiomatiche del linguaggio attraverso la sistematizzazione delle unità di base della comunicazione, più la lingua appare volatile. Che siano mentali o materiali, le immagini falliscono. La convinzione di poter esprimere l'individualità ne è profondamente scossa. La soggettività stessa sembra un concetto volatile: l'ipseità non può risiedere in, né essere esternata attraverso una grammatica di parole o immagini. La "scatola nera" filosofica dell'interiorità precipita nel "buco peloso" ("hairy hole") di Creeley quando la descrizione disgiunge soggetto e oggetto e l'azione viene vissuta come convenzione.
Modica è in sintonia con l'opposizione di Creeley tra un'arte di descrizione che fa affermazioni sul mondo e un'arte di azione che rende le energie della vita nel mondo.5 Per entrambi sembra che l'alienazione sia prodotta quando l'unione tra soggetto ed esperienza è riconosciuta come un desiderio, non come un fatto. Come Creeley, Modica gioca con le tracce di un tentativo di connessione ma, a differenza di Creeley, piuttosto che un tragico divorzio dal mondo oggettivo, Modica abbraccia questo spostamento come costruttivo: da la possibilità di nuove esperienze e di connessioni alternative.
Lo spostamento costruttivo potrebbe essere un modo di entrare in Coordinate Lines (2018), frammenti ricomposti dei cheremi. Queste citazioni visive non possono essere esattamente considerate grafemi, anche se si leggono come unità di contrasto di un sistema scritto, perché la loro "scrittura", come la loro sistematizzazione, è qua una ripresa fittizia. In Coordinate Lines le forme ritagliate sono tenute tra due lastre di vetro sintetico, che si leggono come pagine irrigidite e bandiere. Le dimensioni del lavoro e il ritmo delle "pagine" rende difficile comprendere la provenienza delle forme citate dall'alfabeto con cui è comincato B e C. A seconda della prospettiva, della nostra posizione e dello spostamento che operiamo nello spazio, vediamo le forme nere più o meno distintamente, più o meno sovrapposte. Nell'assenza di uno sfondo piatto, le forme hanno un dritto e un rovescio, che siano percepite come inserite nelle fessure o erette. Esse si proiettano da e in un campo tridimensonale. Le parti vuote delle pagine sono state tagliate via per permettere alle figure di proiettare meglio, su una scala più ampia.
Il libro d'artista (2018), stampato in un'edizione limitata di sessanta copie, offre invece una visione intima di queste figure, e una molteplicità di prospettive che generiamo girando le pagine, al nostro ritmo. Le nostre teste, occhi, braccia e mani — quelle parti del corpo rappresentate — sono ciò che fa scontrare ed emergere le forme elise. Coordinate Lines e il libro B e C richiamano la nozione di Charles Olson che "la forma non è mai più che un'estensione del contenuto", il credo di Projective Verse e dei poeti della Black Mountain. Modica gioca con questo senso di "campo aperto" che "proietta" dal contenuto, cioè, dalla percezione dell'artista/spettatore con cui interagisce e, tuttavia, fa parte integrante del suo ambiente immediato. Dove Olson ha usato la durata del respiro umano per misurare la linea poetica, così Modica usa elementi figurativi per le nostre parti del corpo per misurare lo spostamento - linguistico e corporeo - e la compressione del significato. A prescindere dagli elementi figurativi, i segni sono sottratti al soggettivismo e al simbolismo che, ancora, caratterizzano molte opere contemporanee. La soggettività, come la rappresentazione naturale, è stata smontata.
Anche quando riprende i codici della rappresentazione tradizionale, Modica rifugge la soggettività e la rappresentazione, come respinge l'auto-referenzialità. In Speculative Injections (2017) gli elementi di stampa e collage digitale interagiscono con gli elementi fonetici, grafici e figurativi per destabilizzare qualsiasi inconscio pittorico; ogni sistema sembra dominare a sua volta gli altri, testando e ribattendo la possibilità di uno spazio speculativamente stabilito. Lo spazio costruito non viene distrutto dall'iniezione di un singolo elemento estraneo, formale o materiale, ma dal suo implicito affidamento su un sistema di strutturazione che può essere visto come uno "spazio" finito.
Le assiomatiche condizioni di vista vengono quindi scosse dal suono secco di Snap (2018). Come un'irrefrenabile incursione mentre guardiamo, provoca una consapevolezza del primato che concediamo alla visione per apprendere il nostro ambiente. Come un'unità pre-linguistica o sub-lessicale, il grido insito di Snap agisce alla soglia tra rumore e linguaggio. Espande l'indagine di Modica sulle unità di significato di base sostituendo parole, gesti e figure con elementi sonori. Inoltre questi suoni non sono umani ma creati dall'uomo. Sono prodotti da un dispositivo meccanico, una leva di legno che colpisce il ferro: i limiti della vista e del suono, e dell'empirismo, per fornire certezze su ciò che sappiamo.
As We Go We See (2018), la strisce di rame lucido inciso con tutti i quarantacinque cheremi e le ventidue trascrizioni fonologiche, è una soglia, posta a filo dei gradini che portano alla navata. Nel contesto di B e C questo lavoro site-specific modifica la nostra percezione dello spazio che occupiamo: differenzia gli spazi. C'è un prima e un dopo scavalcando questa soglia. Occupiamo al solito uno spazio museale in piedi, muovendoci lentamente e fermandoci per guardare da più o meno vicino un lavoro. Se invece di guardare superficialmente (come sono superficiali le "chiacchiere inutili") lo spazio della mostra, guardiamo con cura gli elementi architettonici dell'ambiente, quelli che proiettano il volume interno ed invisibile dello spazio, siamo invitati a piegarci e ad avvicinarsi alla soglia, interrompendo un semplice sopralluogo della mostra. As We Go We See suggerisce, anche, che il comportamento è una forma di compensazione per la nostra incapacità di dare forma a un significato sicuro. I cheremi sono da tempo obsoleti come sistema di notazione; né loro né gli argomenti che essi sollevano possono assicurare un punto fermo nell' "oscurità in espansione" delle nostre speculazioni.
Complementary Distribution 1 e 2 (2018) riempiono lo spazio interdetto della cappella con grandi dipinti a inchiostro su vetro. La loro collocazione non è intesa a suggerire la salutare sacralità dell'arte di fronte allo scetticismo sul linguaggio ordinario o sulla conoscenza. Tuttavia queste due opere sono più autonome rispetto alla maggior parte degli altri derivati dal lavoro con B. e C. Complementary Distribution 1 contrappone le silhouette trasformate che sembrano allo stesso tempo aleggiare sopra il supporto di vetro e inciderlo con il disegno lineare. L'effetto della luce è, qui, quello di proiettare la forma bianca come figura in un terreno in metamorfosi. Complementary Distribution 2 mantiene le delineazioni di una testa, in alto, e suggerisce delle braccia in stop-motion nella metà sinistra della superficie. Questi offrono un contrappunto alle impressioni delle mani e ai gocciolamenti deliberati che hanno lasciato forme organiche illeggibili: forme bianche su una superficie fragile che si espandono nell'oscurità come opere scultoree che potremmo sentire ma non vedere. Le lastre di vetro sono molto più che potenziali lastre per monotipi. Sono indipendenti da qualsiasi funzione di stampa: sono dipinti a sé stanti, dipinti in un campo ampliato. Suggerirei che la loro autonomia possa essere correlata a un argomento più profondo, che attraversa l'intero progetto B e C.
Il sottotitolo della mostra, "sul linguaggio privato", si riferisce all'argomento di Wittgenstein secondo cui un tale linguaggio è impossibile e la distinzione del dualismo tra mente e corpo è errata. Modica è come l'ipotetico "esploratore che li guardava e ascoltava i loro discorsi", che potrebbe persino "riuscire a tradurre la loro lingua nella nostra"6 ma chi, alla fine, arriva alla consapevolezza che né l'espressione di un'interiorità "privata" né l'espressione di sensazioni "private" sono possibili.
Se le singole parole di questa lingua sono riferite a ciò che può essere conosciuto solo alla persona che parla; alle sue immediate sensazioni private [...] un'altra persona non può capire la lingua.7
E così il linguaggio di B. e C. non può essere marginalizzato come privato, come se solo loro potessero sapere cosa pensano e sentono, e qualsiasi tentativo di connessione fosse inutile. Il problema risiede nella tendenza a interpretare le forme e la grammatica dell'espressione della sensazione sul modello di "oggetto e designazione". La "scatola nera" del regno privato non può essere l'origine del significato delle parole, o anche delle immagini, che si riferiscono a pensieri e sentimenti:
Nessuno può guardare nella scatola di nessun'altro, e ognuno dice che sa cosa [c'è dentro] solo guardando [nella sua propria scatola]. A questo punto sarebbe addirittura possibile che tutti avessero qualcosa di diverso nella propria scatola. Si potrebbe anche immaginare una cosa del genere che cambia continuamente [...] La cosa nella scatola non ha affatto posto nel gioco linguistico; nemmeno come un qualcosa: la scatola potrebbe anche essere vuota. No, si può 'dividere per/ attraverso' la cosa nella scatola; si annulla, qualunque cosa sia.8
Non è che la sensazione sia un nulla o che il processo interiore non esista, ma né le parole né le immagini possono fondare i loro significati su identificazioni inequivocabili delle sensazioni o dei processi interni. Pretendere di rappresentare il "contenuto" della soggettività implica cadere in errore. I lavori più sperimentali di Modica sono, da questo punto di vista, Complementary Distribution 1 e 2, There Are, il trittico Untitled e, l'opera conclusiva della mostra, There is.
There Are (2017), gli otto monotipi di fronte all'abside, tratta la forma come un artefatto del flusso di processi e sensazioni. Le forme che percepiamo distaccarsi dal caos protomorfico di textures e strati sembrano cristallizzazioni di un momento delle procedure dell'artista. In questo senso sono come artefatti: sono come le cose osservate in un esperimento che non sono naturalmente presenti ma si verificano come risultato di procedure preparative o investigative. Quelle forme che riconosciamo (braccia, teste, linee prospettiche) possono aiutare a strutturare visivamente le composizioni, ma l'enfasi è sulla decina di forme più scure. La maggior parte di queste richiama forme organiche — conchiglie o fossili, nuvole o escrescenze vegetative. Talvolta queste evocano pure sezioni sottili di una struttura tridimensionale più ampia, come osservando i tessuti biologici attraverso un microscopio, talvolta con l'aiuto visivo della colorazione cellulare. Il processo di guardare, suggerisce Modica, è un'estrazione che si svolge nel tempo; momentaneamente, le forme si staccano e cristallizzano qualcosa dal caos protomorfico dell'esperienza.
Il trittico senza titolo dello stesso anno — Untitled 1 (Porfirio), Untitled 2 (Unmapped) e Untitled 3 (Map Negative) — sembra anch'esso coerente con la proposizione wittgensteiniana secondo cui i concetti non hanno bisogno di chiarezza per significare. E che "tagliare attreverso" è un impulso di sistematizzazione che può produrre opposizioni binarie e "scale di essere". Quest'ultima espressione si riferisce, naturalmente, all'Albero del Porfirio da cui è tratto il sottotitolo di Untitled 1 (Porfirio).9 L'albero di Porfirio o Arbor Porphyriana è una differenziazione e subordinazione della sostanza, resa visivamente. La sostanza è il genere più alto. Si differenzia in "pensando" ed "esteso". Questo indica che ci sono due specie della sostanza genere, sostanza pensante (mente) e sostanza estesa (corpo) che si differenzia, a sua volta, in due specie: inanimate e animate (animali). Anche questo può essere suddiviso in due categorie: irrazionale e razionale o, a seconda della traduzione e della posizione, in sensibile e insensibile. "Umano" è l'ultima specie dell'albero di Porfirio. Sottotitolando la prima di queste tre opere Porfirio, Modica ci sta orientando in diversi modi. Sistemare è differenziare. Rendere visivamente pone la domanda se ci possono essere sistemi organici di classificazione. Classificare è subordinare secondo ontologie implicite, preesistenti, e con l'obiettivo di rendere conto di un particolare fine, o infima specie. In questa opera, gli artefatti visivi prodotti da vari processi di differenziazione — cheremi contro fonemi, contorni contro derivazioni, vuoto contro texture, carta opaca contro trasparente, la struttura a griglia fatta dei bordi dei fogli che a volte interrompe la forma, a volte no, monotipo contro collage, matita contro pennarello — supera i diagrammi delle successive subordinazioni. Invece di presentarci i sistemi Modica ci presenta gli oggetti che ne sono la produzione. Questi resistono alla grammatica, così come resiste l'espressione della sensazione concepita sul modello di "oggetto e designazione".10
Questi "oggetti" all'interno delle opere sono "non mappati", persino "inmappabili". Untitled 2 (Unmapped) abbandona i cheremi rassicuranti e tutte le trascrizione tranne una colonna fonetica. La linea di "a" pur essendo una trascrizione fonetica configura i segni diacritici e soprasegmentali, i toni e gli accenti di livello che differenziano i suoni nell'alfabeto fonetico come segni grafici. Sopra, le parentesi quadre non sono finite. Sotto, le "trascrizioni" sono svanite, alternando senso e non senso. Anche i contorni di teste, braccia e mani assumono una loro logica propria. Sono sovrapposti o trasformati in forme organiche che non si riferiscono facilmente a gesti o posizioni corporee. Marcature a matita copiativa si librano tra texture e forma. L'elemento grigio-verde di collage, al centro a sinistra, aggiunge alla confusione critica. Così come l'aggiunta di pezzi strappati di carta da pacchi o gli angoli strappati di due fogli. Untitled 2 (Unmapped) è, in parte, una citazione del lavoro di Boetti sulla classificazione, sull'ordine e il disordine, sui sensi, sull'imprevisto e, naturalmente, sui doppi ritratti e le mappe. Guardando all'arte povera e all'arte concettuale, Modica sembra, però, fare di questa profusione di riferimenti e artefatti un appello a ri-sperimentare la vita libera dal dualismo.
Untitled 3 (Map Negative) inizia con il negativo delle monotipie impresse di Untitled 2. A queste tracce Modica ha aggiunto, principalmente, i colori ad olio rosso, bianco e nero. Annullano ed evidenziano l'immagine speculare del monotipo precedente. Un raddoppio riecheggiato dalla struttura centrale: questo ora si legge come un oggetto tridimensionale di cristallo anziché le convenzioni pittoriche utilizzate per rendere i volumi in uno spazio prospettico. In un certo senso, questo lavoro si muove oltre gli artefatti prodotti dalla differenziazione e dall'impulso sistematico nelle altre opere di Modica. Ciò che è rimasto dei segni convenzionali — le linee prospettiche — ora è riguarda meno il gioco delle diverse lingue l'una contro l'altra. Sono principalmente uno strumento di composizione per le impressioni monocromatiche e i tocchi colorati.
There Is, l'installazione del 2018 realizzata appositamente per questa mostra, restituisce invece oggetti e manufatti. Le due piattaforme di forma irregolare servono come tele o campi per interagire con i vari elementi. La griglia di ordinazione, presente con la carta velina da fiorista, è ora arrotolata. Come un tavolo da gioco in standby. Il piedistallo in cemento sostiene verticalmente due elementi orizzontali in plastilina; questi sono più leggeri della loro base massiccia e assertivamente fatte a mano. Queste sculture gemelle sono così plastiche nel trattamento della superficie che siamo tentati di leggerle come pittura tridimensionale, o come se stessimo guardando da vicino le superfici di Giacometti. Come nel lavoro del dopoguerra dell'artista svizzero, su cui Modica ha scritto la sua tesi triennale, la superficie palpabilmente animata sfugge al contorno. Gioca con le proporzioni che stabiliscono o sconvolgono la distanza tra lo spettatore e gli oggetti. Le superfici irregolari ed i bordi del duo di plastilina, le piattaforme, i pezzi di gesso e le lastre di vetro creano compenetrazioni di massa e spazio. Che la massa fosse ottenuta per sottrazione (come nei pezzi di plastilina) o per calco (come negli oggetti di gesso) o per sedimentazione e frammentazione (come nei fossili), questi giocano con il nostro senso dello spazio tra gli oggetti, o il suggerito spazio attorno agli oggetti. Allo stesso modo il nostro senso di scala è reso fluido: i contorni di B. e C. sono messi sotto lastre di vetro di geometrie variabili.
In quest'ultimo lavoro, Modica sembra soprattutto interessato alla nostra sensibilità alle cose: la loro collocazione, le loro qualità materiche e volumetriche, le loro sfumature e gradazioni, le loro qualità fisiche e lo spazio/luce che assorbono o proiettano, il loro rapporto l'uno con l'altro e noi. L'aria sembra più densa intorno
ai fossili neri? Perché i pezzi di gesso ci fanno venire voglia di rigirarli nelle nostre mani? Perché i vetri rotti si leggono come un'eco della scultura fossile? Non esiste una grammatica dell'espressione della sensazione. Né lingua privata. Ma c'è (There is ).
1 Lorenzo Modica, What You Do Not Understand is What Really Belongs to You, olio su tela, 2017.
2 Charles Altieri, "The Unsure Egoist: Robert Creeley and the Theme of Nothingness," Contemporary Literature, Vol. 13, No. 2 (Spring, 1972), pp. 162-185: 162.
3 Robert Creeley, "There Is" ristampato in Selected Poems of Robert Creeley, University of California Press, 1991, p. 98.
4 Vedere Martin Heidegger, The Averageness of Communication, ristampato in Being and Time, Blackwell, 1967, pp. 211-212.
5 Vedere Altieri, op.cit., e Creeley, A Quick Graph: Collected Notes and Essays, Four Seasons Foundation, 1970, p. 184.
6 Ludwig Wittgenstein, Philosophische Untersuchungen, ed. P. M. S. Hacker and Joachim Schulte, trandotto da G.E.M. Anscombe e gli editori, Philosophical Investigations, John Wiley & Sons, 2010: sezione 243.
7 Ibidem.
8 Wittgenstein, op. cit., sezioni 305 e 306.
9 La seconda parte del Isagoge (III° sec.) di Porfirio è stata ampiamente diffusa da Pietro Ispano come arbor Porphyrii. È molto probabimente il trattatista medioevale che ha trascritto le distinzioni di Porfirio in forma diagrammatica. A proposito del Summulae Logicales, inizialmente conosciuto come Tractatus, vedere Brian Copenhaver, Calvin Normore
e Terence Parsons, Peter of Spain, Summaries of Logic. Text, Translation, Introduction, and Notes, Oxford University Press, 2014. Il Tractatus del giovane Wittgenststein si riferisce invece probabilmente a Spinoza.
10 Wittgenstein, op. cit., section 293.